Arte, cultura e tradizioni

Le 'Osmize' dell'altopiano del Carso

Con le osmize si entra nel mondo della degustazione dei sapori tipici del Carso triestino; la parola osmiza o osmizza (in lingua slovena osmica) deriva infatti da quella slava ose (otto) che indica il numero di giorni in cui i contadini potevano vendere i propri prodotti derivanti dall'agricoltura e dall'allevamento; il frutto del lavoro della terra quindi oltre al vino oggi anche i salumi, i formaggi, il prosciutto crudo carsolino tagliato a mano, la porcina con il cren, le fettine d'arrosto, le uova, il pane fatto in casa e a volte anche l'olio, le verdure e gli ortaggi.

Secondo gli storici questa istituzione fu opera di Carlo Magno che, per mezzo di un'ordinanza, diede il permesso a tutti i vignaioli dell'impero di poter vendere il vino direttamente dalla loro casa o cantina. Indicando l'esercizio attraverso l'applicazione di una "frasca" qualche metro prima dello stesso. Esistono dei documenti che provano l'esistenza delle osmize (od osmizze) durante il Medioevo; uno di questi risale al 1430 e segnala che i contadini di Prosecco presso Trieste dichiaravano di poter vendere il loro vino sfuso rimanendo esenti da dazi.

Anche durante il periodo dell'imperatrice Maria Teresa d'Austria verso la fine del '700 i contadini del Carso avevano la possibilità di vendere vino e generi alimentari al pubblico a patto che la produzione fosse la loro. La vendita era consentita solamente per otto giorni consecutivi per tutta la durata dell'anno; osmiza segna precisamente la durata temporale della concessione e i proprietari potevano scegliere in libertà orari e prezzi.


Nella foto: carne al cren (Armoracia rusticana, conosciuta anche con il nome di rafano rustico, rafano tedesco o barbaforte).

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